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[concerti] : Five on Fire
Inviato da five il 15/6/2009 22:30:08 (697 letture) News dello stesso autore

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Autore Albero
admin
Inviato: 16/6/2009 0:16  Aggiornato: 16/6/2009 0:16
Webmaster
Iscritto: 14/10/2003
Da:
Inviati: 988
Online!
 Re: Five on Fire
[img width=500]http://rokker.altervista.it/uploader/images/big/920175831.jpg[/img]
[traduzione dell'introduzione del libro AC/DC]

La storia andò più o meno così. Jerry Lee Lewis si accorse che c’era un problema. Per motivi che non riusciva assolutamente a capire, chiunque fosse seduto nel palco reale del teatro attirava più attenzione di lui.
Il “Killer” sopportò questa mancanza di rispetto fintanto che poté, poi se ne andò dal palco su tutte le furie, fulminando la platea con uno sguardo assassino. Chi rimase più deluso di tutti fu proprio la celebre coppia seduta lassù in alto: John Lennon e Yoko Ono. Si diressero verso il camerino di Lewis, con l’ex Beatle fermamente deciso a ristabilire l’ordine gerarchico del rispetto. Si inginocchiò deferente davanti al suo eroe e dichiarò: “Jerry Lee Lewis! Il vero re del rock’n’roll!”.
Negli ultimi trent’anni, Malcolm Young e suo fratello Angus, il frenetico chitarrista vestito da scolaretto, si sono impegnati con incrollabile dedizione a mostrare lo stesso rispetto nei confronti di Jerry Lee e di altri musicisti simili, come Chuck Berry, Little Richard e Fats Domino, convogliando il tutto in un impianto sonoro di mostruosa potenza.
Con quel sound, e con oltre 150 milioni di dischi venduti, gli ac/dc hanno contribuito a celebrare incontri sessuali, sbronze, litigi, matrimoni, nascite, funerali, auto nuove e nuovi tatuaggi di milioni di persone da Bruxelles a Brisbane, da Montreal a Manchester e in ogni dove.
E questo fa degli ac/dc non solo un gruppo rock, ma un’istituzione culturale globale.
Fin dal primo giorno, si è imperniato tutto sul legame musicale quasi telepatico tra Malcolm e Angus, sulla loro tenacia, la fiducia in se stessi e la precisione svizzera dei tempi e dei ritmi.
Anche se il loro marchio di fabbrica è l’infinito repertorio di devastanti riff di chitarra, affinati prima con Bon Scott e poi rifiniti con Brian Johnson, è l’intervallo che c’è tra quegli accordi – le pause di respiro, se preferite – ad essere diventato la loro firma.
Come disse una volta Steve Marriott degli Small Faces e degli Humble Pie al chitarrista Chris Turner, poi nei Rose Tattoo: “Sono gli stacchi quello che scuote”.
E così è anche per gli ac/dc, che in origine, è interessante notare, volevano chiamarsi The Younger Brothers – come i fuorilegge del vecchio West che a un certo punto affiancarono Jesse James – soltanto per scoprire che il nome era già stato registrato da Turner.
E allora qual è il loro elisir segreto? Cosa ha permesso loro di elevare il rock’n’roll a una forma d’arte assolutamente pura e meno semplice di quanto sembri, che non ha bisogno di additivi e non si lascia intaccare dalle mode musicali del momento?
Perché loro sono riusciti a continuare mentre altri si sono arresi, e hanno potuto osservare con disprezzo i corpi dei loro tanti detrattori trascinati via dalla corrente?
Quello che davvero non trova eguali è il fatto che i fratelli Young non hanno certo l’aspetto o l’atteggiamento per la parte. Di conseguenza, è un po’ come scoprire che il ragazzo mingherlino che vedi sull’autobus tutte le mattine, con i vestiti larghi, un paio di occhiali enormi e le lenti a fondo di bottiglia, in realtà sia un campione di pugilato che fa strage di cuori.
Ci sono bambini che hanno preso il nome in loro onore, nessuno con il livello di completezza del ragazzino che è ufficialmente registrato all’anagrafe come Angus Malcolm George (il fratello maggiore, già membro degli Easybeats e nume tutelare della band), con Bon aggiunto in coda a completare un certificato di nascita da crampi.
C’è poi la spogliarellista danese che lavora soltanto con la musica degli ac/dc, il fan di Melbourne che ha sconfitto l’alcolismo dopo essere andato in giro per una settimana ascoltando in cuffia l’album powerage a tutto volume, o l’emittente radiofonica di Los Angeles che una volta aveva un segmento intitolato “l’ora della monta con gli ac/dc”, in omaggio alla coppia che continuava a chiamare per annunciare con quali canzoni del gruppo aveva appena fatto sesso.
Stando a quel che si dice, pare che i nomi dei componenti della formazione classica guidata da Bon Scott siano incisi persino sulla tomba di Jim Morrison.
Questo libro traccia il percorso della band a partire dall’influsso cruciale degli Easybeats, ripercorre i giorni leggendari di Bon fino alla sua morte nel febbraio del 1980, per proseguire con il reclutamento di Brian Johnson, l’epocale album back in black e l’enorme successo e rispetto di cui la band continua a godere ancora oggi.
In origine, questo progetto è stato intrapreso con l’intento di fornire la prima panoramica approfondita degli ac/dc. Nel corso della stesura tuttavia abbiamo scoperto che la necessità di un libro del genere era ben maggiore di quanto immaginassimo.
Gli ac/dc non rilasciano enormi quantità di interviste, ma quando lo fanno, i giornalisti quasi invariabilmente finiscono per porre sempre le stesse domande, che si ripetono all’infinito dagli esordi della band.
Certo, è vero che gli ac/dc non si prestano molto volentieri, ma se viene posta la domanda giusta si sono mostrati più che felici di aprirsi (tra battute a non finire, ovviamente). Sta di fatto che gli intervistatori hanno scelto molto raramente di compiere quel salto.
Il risultato è che pur con notevoli eccezioni, come l’australiana Christie Eliezer, si possono facilmente passare al setaccio centinaia di interviste agli ac/dc e ricavarne al meglio un paio di fatti essenziali.
Per certi versi, questa mancanza di approfondimento nella storia mediatica della band ha reso un po’ più difficile il nostro lavoro, ma al tempo stesso ha contribuito fortemente ad avvalorare ed evidenziare la necessità dell’obiettivo che ci eravamo prefissi.
Quanto agli ac/dc, basta dire che il mondo si regge su un delicato equilibrio e rimuoverne dalla struttura un elemento portante come loro potrebbe avere rischiose conseguenze sul piano sociale, ambientale e di qualsiasi altro genere si voglia.
Provate a immaginare soltanto per un attimo come sarebbe la vita senza ac/dc.



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